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Il Palio in palio: Il trittico di Gibilrossa

Il Palio in palio: Il trittico di Gibilrossa

Oggi e domani si svolgerà la manifestazione del 2° Palio dei Sestrieri che mette in palio una riproduzione del Trittico di Gibilrossa, cerchiamo di capire da dove prende origine questa tradizione.

L’opera proviene da uno dei luoghi più antichi e sacri di Misilmeri: il santuario di Gibilrossa, dove è rimasta fino al 1866, quando, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi, fu trasportata alla Galleria Regionale di palazzo Abatellis. Il luogo, già nel VI secolo, abitato dai padri Basiliani, abbandonato durante il periodo arabo, poi rivalorizzato in epoca normanna, fu concesso ai Francescani Osservanti dal duca di Misilmeri d. Francesco del Bosco e poi confermato nel 1594 da mons. Diego di Haedo, arcivescovo di Palermo, passò infine ai Carmelitani Riformati con i quali ebbe più di due secoli di splendore, di culto e di venerazione. Stanislao Alberti nel suo libro “Meraviglie di Dio in onore della sua SS. Madre” racconta di grandi miracoli operati da questa effige e come attesta il Mongitore  nel libro “Palermo divoto di Maria” (1719) la madonna di Gibilrossa godeva di grande devozione,  da parte dei fedeli non solo Misilmeresi ma anche  provenienti da tutta la Sicilia che venivano in pellegrinaggio il 15 agosto di ogni anno. Nel momento in cui il trittico, che è una pittura su tavola (cm.126 X cm.146) raffigurante la Madonna col Bambino tra le sante Barbara ed Agata, viene traslato a Palermo, entrando a far parte di una così importante collezione museale, finisce di avere un valore devozionale e comincia a suscitare l’interesse critico degli storici dell’arte. (Mongitore, G. Di Marzo, Van Marle, De Logu, Bresc Bautler, Vigni, Santucci, Di Natale, Abbate ecc.) Ancora oggi l’attribuzione è incerta, anche dopo tante ipotesi su di essa, a causa dei continui rimaneggiamenti nel corso dei secoli, così come attestato dalla scritta nella fascia inferiore della tavola: “HOC OPUS FIERI FECERU AMORE BEATE VIRGINIS MARIA DE GIBILARUSA ANNO DOMINI MILLE C.C.C.C.XXIII / INSTAURATA PRIUS ANNO 1549-FUIT DEINDE RENOVATA A P. P. CARM.TIS P.MI INST.TI AN.1837”. La tradizione attribuisce il primo restauro,  datato 1549, a Gian Paolo Veronese.

L’opera risente sicuramente dell’influenza della pittura marchigiana-umbro-toscana tardo trecentesca. Alcuni studiosi (Bottari 1962, Di Natale 1974, Santucci 1981) l’attribuiscono a Gaspare da Pesaro, data la sua permanenza a Palermo, riscontrandovi  molte analogie con le sue presunte opere. Il Vigni (1962) intravide nel nostro trittico elementi tipici della pittura senese e ne ipotizzò l’attribuzione a Nicolò Di Magio, pittore senese attivo a Palermo nei primi trentanni del ‘400. Altre analogie nella posa e nei panneggi si riscontrano (Paolini 1994) con la tavola dell’Arcivescovado di Monreale, oderisiano-iberica, nei confronti della quale l’unica differenza consiste nella presenza di un cardellino, simbolo di Cristo, che il Bambino del trittico  di Gibilrossa tiene nella mano sinistra. Queste considerazioni ci fanno pensare che l’opera sia stata non importata, ma creata in ambito locale da qualche artista che riprendeva i modelli toscani, arricchendoli con il gusto per il colore vivido e per certe espressioni trasognate, cosa che riscontriamo anche nel maestro del polittico di Termini Imprese.; ipotesi avvalorata anche da evidenti analogie con alcune tavole dipinte dal Perruchio (L’incoronazione della Vergine tra i santi Alberto e Pietro presente al MU.DI.PA. e l’icona con Santa Barbara presente a Castellammare) artista operante a Palermo tra il 1392 ed il 1435. Il nostro trittico subisce ancora un restauro nel 1953, ad opera di Ottemi della Rotta, il quale aggiunse degli archi a tutto sesto su capitelli ai lati delle due sante ed un tendaggio alle spalle della Vergine, appesantendo notevolmente l’opera; soltanto il recente restauro del 2008 ha riportato la tavola al primitivo splendore.

Scritto da Enrico Venturini

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