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Mariano De Caro, un misilmerese vittima della mafia

La sua storia raccontata da Paolo Francesco Lo Dico

Mariano De Caro, un misilmerese vittima della mafia

Mariano De Caro nasce a Misilmeri (Palermo) nel 1896 da Pietro, un maniscalco di origine palermitana, e da Filippa Ferruggia, misilmerese.

I genitori ne curano la formazione facendolo studiare, insieme ai quattro fratelli, in un istituto sito in Piazza Rivoluzione a Palermo (notizia data dagli eredi). Studente modello, ordinatissimo (cfr. appunti di matematica dei suoi quaderni originali: “R. Scuola Tecnica – GAGINI – Palermo – classe 3 C licenza 1913/14”). Un altro manuale di “Calligrafia Moderna”, studio della scrittura gotica antica e moderna, ci fa capire da dove venga la sua bella e ordinata grafia. Mariano si diploma ragioniere e prosegue negli studi universitari che interrompe allo scoppio della 1^ G.M., perché inviato come recluta nell’ 85° Reg.to Fanteria di Trapani dove diviene tiratore scelto presso la 1^ Cp. (cfr. cartolina). Il 26/2/1918, in virtù delle doti dimostrate e dei titoli di studio posseduti, entra a fare parte dell’XI corso per A.U. presso la 12^ Cp. della Scuola Militare di Modena.

È combattente, in servizio a Foen (Feltre, Belluno) il 3/12/1918 con il grado di sottotenente. Mariano legge in quel periodo un libro di poesie di Victor Hugo e forse, presagendo il suo futuro, segna con una X la composizione Ave, Dea, Moriturus te salutat (vocabolari e libri vari ritrovati nella sua casa natale, sita in via Roma, 125, ex Via Brofferio, 99).

A testimonianza della sua educazione religiosa cattolica, fra i libri che il giovane porta con sé al fronte, troviamo Le Massime Eterne e altri volumi di carattere  spirituale.

Su una sua cartolina, spedita alla madre, la sig.ra Ferruggia Filippa, in data 14/12/1918, da Fossalta di Portogruaro (Ve), annuncia: «Sto benissimo, saluti e baci affettuosi. In marcia per Trieste!».

Il 14/1/1919 è in servizio ad Irst in qualità di S.Ten del 6° Fanteria, 3° Battaglione (da un appunto su un libro, Lingua e grammatica slovena).

L’ultima foto che lo ritrae in divisa da Ufficiale del R.E.I. risale al 14/7/1919 (cfr. presso “Cav. G. Incorpora- Palermo”).

Ritornato nella vita civile, riprende gli studi. Fra i suoi libri ritroviamo L’utopia socialista e poi la locandina de La leggenda del Piave, film dedicato alle madri d’Italia, che fu proiettato nel cinema Vittoria di Misilmeri.

Frattanto la situazione sociale d’Italia è disastrosa, la vittoria mutilata, i combattenti reduci sono derisi e spesso picchiati, occupazioni di fabbriche e scioperi ad oltranza paralizzano lo Stato, il disordine è imperante. È il “biennio rosso”. Gli ideali di De Caro – “Dio, Patria, Famiglia”, il concetto vichiano di bene comune, il sogno di vivere concordemente nella pace, come fratelli, grazie al frutto del proprio lavoro sotto l’egida di giustizia e libertà, l’obiettivo di vivere dignitosamente, di realizzare l’Italia dei lavoratori e non dei parassiti, di Nazione Civile – si vengono a scontrare con pulsioni retrograde e involute. L’ideale appreso in trincea si manifesta nel reduce, che diventa il primo fascista di Misilmeri. Aderisce a quel movimento prim’ancora della “marcia su Roma” (1922), quando essere fascisti comportava solo svantaggi, rischi e pericoli.

Guardando oggi la foto del giovane, sembra recasse impressi nell’ovale spigoloso, nello sguardo fiero ed acceso, la signorilità dei modi insieme a un’incrollabile volontà, lo stile cristallino con il pensiero ferreo.

Mariano è appassionato collezionista di cartoline, monete, distintivi e medaglie; intrattiene corrispondenza con amici ed ex commilitoni del fronte che condividono con lui una certa cultura sociale e nazionale da tutt’Italia.

Nel 1920, un piccolo nucleo di uomini ardimentosi composto da ex combattenti, (fra cui Pietro Scozzari), giovani entusiasti credenti nel fascismo-movimento in nome di una vocazione social-rivoluzionaria, volta a smantellare i gangli di un anacronistico sicilianismo – che aveva in spregio la modernizzazione e il cambiamento – formano a Misilmeri il “Circolo degli Studenti”. Si trattava di un organismo concepito per sconvolgere gli equilibri socio-economici esistenti, fondati su un’economia agraria latifondista gestita con metodi parassitari dai ceti aristocratici e dai gabellotti legati alla mafia e arricchitisi alle spalle dei contadini. Mariano assume la presidenza del circolo e spande a Misilmeri la nuova ventata ideale, già pensata da Giovanni Gentile, dell’italiano nuovo. Punti cardine del disegno erano il rinnovamento e la trasformazione dello spirito dello Stato e della società italiani, la supremazia dell’interesse comune sul particolare, la collaborazione del lavoro con il capitale, la sintesi fra socialismo e nazionalismo,  l’affermazione di un nuovo stile di vita conseguente al combattentismo e alla vittoria. Ma, come già per molti, vale l’antico adagio: nemo profeta in patria.

Anche De Caro è giunto al suo appuntamento con il destino. Il suo entusiasmo, il suo coraggio, il suo sprezzo del pericolo, l’essere stato combattente per l’Italianità, l’avere superato indenne la tempesta di fuoco, la sua gioventù, la sua cultura, in una parola il suo stile, non vengono apprezzati dai potentati locali. I rais del posto non gradiscono la veemente battaglia ingaggiata da un giovane che ha osato sfidare la mafia a viso aperto. Era la sera del 7 aprile 1921, quando Mariano salutò la madre per l’ultima volta. Uscì da casa, percorse pochi metri, «e immediatamente dopo lugubri rimbombi espansisi nel silenzio serale» (testimonianza di contemporanea), cadde al suolo, raggiunto dai proiettili esplosi da fucili di traditori, vili caini italioti. De Caro viene  proditoriamente assassinato alle ore 20,00, in Piazza Fontana Nuova, (oggi Cosmo Guastella, già “U chianu di furchi” perché, durante l’oscurantismo, vi si eseguivano le condanne a morte). (cfr. G.di S. del 1921).

Sembrò che dal cielo si udisse la voce: «Caino dov’è tuo fratello? Il suo sangue grida dalla terra!»

Poco dopo il sacrificio, nel suo nome, un gruppo di giovani studenti mantenne viva nel Paese la fiamma della ribellione, seppure l’ambiente apparisse ancora diffidente e chiuso alla penetrazione dell’ideale nascente.

La madre Filippa muore straziata dal dolore, dopo circa un anno dall’assassinio del figlio.

Di Mariano De Caro resta oggi, nel punto esatto del suo martirio, la lapide che riporta: «per Mariano De Caro, fascista, qui caduto il 7 aprile 1921, in avanguardia sulle insidiate vie di un sogno di redenzione cui egli diede con siciliana passione la sua balda giovinezza quando il farlo parea follia ed era eroismo. Misilmeri nell’alba radiosa della raggiunta realtà pone, con fede littoria ad onore ad esempio a monito. Luglio 1928 A. VI. MORI». La cerimonia di posa ebbe luogo, col concorso della popolazione di Misilmeri e dei paesi vicini, tra il più alto entusiasmo. Ci fu un’aperta presa di posizione contro la mafia e contro la malvivenza (cfr. G.d.S. del 28). E dopo lo scoprimento della suddetta lapide, Mori sentì dire da un giovane al suo vicino: «Che significa ‘monito’?». «Significa – rispose l’altro con uno sguardo chiaro e risoluto – “ca cu tocca ‘cca ci sata a testa“» (“che a chi la tocca, gli salta la testa). Evidentemente la lapide era assai guardata. (cfr. C. Mori, Con la mafia ai ferri corti).

Il supremo sacrificio di uomini come Mariano De Caro a Misilmeri, dei fratelli Domenico e Bartolone Perricone a Vita (Tp), Gigino Gattuso a Caltanissetta, Giacomo Schirò a Piana degli Albanesi e di altri martiri nel resto della Sicilia, non fu vano (cfr. P. Nicolosi – Gli antemarcia di Sicilia). Infatti dopo questi misfatti, per un lungo periodo, grazie alla tenace lotta condotta da Cesare Mori, denominato non a caso “Il Prefetto di ferro”, nel 1928, la mafia nell’ Isola semplicemente non esisteva più e l’Italia progrediva nel futuro.

Uomini della levatura di De Caro, avrebbero contribuito sicuramente a realizzare il “bene comune” per il nostro amato Paese, come già intrapreso anche dal Cap. dei Bersaglieri, legionario fiumano con Gabriele D’Annunzio, avv. Pietro Scozzari con la realizzazione del lago dello Scanzano, e nella formazione etica dei nuovi cittadini. Oggi ci si chiede cosa avrebbero potuto fare per Misilmeri e per il Paese personalità simili capaci del martirio per l’idea.

Dopo ottantuno anni, in un barbaglio di gratitudine e di Amor Patrio, il Comune di Misilmeri ha ricordato suo figlio nel 2002 rendendogli gli onori civili e militari nel tripudio del paese imbandierato mentre dal cielo scendevano bandierine tricolori lanciate dai paracadutisti e la banda dei bersaglieri faceva vibrare l’animo intonando l’inno nazionale. Forse Mariano da lassù ha sorriso al camerata che ha raccolto il grido del sangue dalla terra e ostinatamente l’ha riportato all’attenzione pubblica con amore e profondo rispetto.

La notizia è stata riportata dai media locali e nazionali.

Il prof. Lodovico Ellena lo ha citato nel libro Pillole di storia.

Recentemente gli è stata intitolata una via a Misilmeri.

La Provincia Regionale di Palermo lo ha inserito nei Personaggi illustri.

Facciamo del nostro meglio (come dicono gli scout) e cerchiamo di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato. Mariano De Caro ci insegna ad amare l’Italia con la stessa purezza di sentimenti con cui amiamo nostra madre, la Madre Comune: la Patria Nostra e noi Uomini Liberi impegniamoci per l’innesco del “risveglio onirico” della nostra Nazione la cui anima, adesso «giace strangolata nel sottosuolo della storia» (cfr. G. Ceronetti – Un viaggio in Italia).

 

FONTI:

Arc. Romano: Storia di Misilmeri

Prof. G. Tricoli: Il Fascismo e la mafia

S.E. C. Mori: Con la mafia ai ferri corti

  1. Nicolosi: Gli antemarcia di Sicilia
  2. Ceronetti: Un viaggio in Italia

Avv. Santo Platino

Testimonianza della Sig.ra Ippolito Anna Lo Dico, sua contemporanea.

Giornale di Sicilia del 1921 e del 1928

Documentazione e informazioni fornite per gentile concessione dagli eredi (nipoti: Mario, Vito, Giuseppe).

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