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Ritrovato il fascicolo sulla strage Chinnici: Era disperso da 15 anni!

Ritrovato da Fabio De Pasquale ed Eleonora Iannelli

A pochi giorni dal trentennale della strage di via Pipitone Federico, nel bel mezzo della pubblicazione di un libro su quella efferata strage, veniamo a conoscenza che è stato ritrovato da due giornalisti Fabio De Pasquale e Eleonora Iannelli il fascicolo sulla strage Chinnici.

Disperso per 15 anni, è improvvisamente ricomparso, il fascicolo dove è ricostruita la storia oscura del processo per la strage in cui furono uccisi nel 1983 il giudice Rocco Chinnici, i carabinieri  Mario Trapassi ed  Edoardo Bartolotta, il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi.
Alcuni pentiti hanno raccontato a suo tempo che l'esito del terzo processo d'appello, celebrato a Messina nel 1988 dopo due annullamenti della Cassazione, sarebbe stato "aggiustato". Per arrivare all'assoluzione per insufficienza di prove di Michele e Salvatore Greco, indicati come i mandanti dell'attentato, la mafia avrebbe corrotto un magistrato. Sotto accusa era finito nel 1998 il presidente della corte d'assise d'appello che aveva emesso la sentenza, Giuseppe Recupero. Ma la magistratura di Reggio Calabria, dove l'inchiesta era stata trasferita, si era dichiarata incompetente. Il fascicolo era quindi tornato a Palermo. Il passaggio non era stato però annotato nei registri del palazzo di giustizia e il caso era stato quindi "dimenticato". Nessuno in questi anni ha più indagato sulla presunta corruzione di Recupero.

Il caso è tornato casualmente alla luce, come accennato, grazie alla scoperta di due giornalisti, Fabio De Pasquale e Eleonora Iannelli, che hanno preparato un libro sulla strage Chinnici, dal titolo "Così non si può vivere", pubblicato in questi giorni dall'editore Castelvecchi. La loro ricerca si era fermata perché il fascicolo non era stato più assegnato. Solo ora è stato ritrovato e riaperto dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi. Ma intanto il giudice Recupero è morto da cinque anni. L'inchiesta cercherà comunque di accertare se la mafia abbia veramente versato a Recupero o ad altri, come sostengono alcuni collaboratori, 200 milioni delle vecchie lire.
Dietro l'autobomba al tritolo, c'era, scrivono gli autori del libro, un patto scellerato tra mafia militare e potere politico-economico, ma anche una giustizia "sonnolenta". Il lavoro del giudice misilmerese, che per primo costituì un pool antimafia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, si scontrò con le ostilità ambientali di un ambiente saturo di veleni.

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