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Una messa per il 343° anniversario dell’arrivo delle reliquie di San Giusto a Misilmeri

Sabato 17 Maggio alla Chiesa Madre di Misilmeri

Una messa per il 343° anniversario dell’arrivo delle reliquie di San Giusto a Misilmeri

Sono passati ben 343 anni da quando le reliquie di San Giusto e dei compagni Martiri, patroni della città, fecero ritorno a Misilmeri.

Per ricordare l'importante avvenimento i parroci della città e il sempre attivo gruppo degli amici di San Giusto invitano la cittadinanza a presenziare alla solenne concelebrazione eucaristica che avrà luogo Sabato 17 Maggio nella Chiesa Madre di Misilmeri alle ore 11.00

Per approfondimenti sul nostro Santo Patrono e sull'arrivo delle reliquie a Misilmeri vi invitiamo a leggere questo articolo pubblicato da Domenico Tubiolo nel sito del Gruppo Mislmeri Scout I.

S. Giusto Patrono di Misilmeri, martire per decapitazione come vuole la tradizione, è rappresentato nella iconografia prevalente in abbigliamento militare, Miles Christi, soldato fedele di Cristo, con in mano la palma. La città di Misilmeri venera le sue reliquie sin dal 1671, anno in cui furono ivi traslate per volere di donna Tommasa Del Bosco e Sandoval, seconda moglie di don Francesco Del Bosco, duchessa di Misilmeri. Si tratta di una donazione intesa ad onorare il ducato di Misilmeri e a conferire prestigio alla sua Maggiore Chiesa dove esse devono essere pubblicamente venerate. Ai nostri giorni il culto del Santo non ha la vivacità e l'intensità riscontrabili in altre realtà dove è più sentita la devozione al Patrono. Probabilmente a causa della freddezza dei misilmeresi  il reverendo don Giovanni Liotta, recentemente scomparso, ha pubblicato, in collaborazione con Mauro Dadea e Maria Concetta Di Natale, il volume S. GIUSTO PATRONO DI MISILMERI. Studio serio e rigoroso che colma un’esigua bibliografia costituita dalla Vita di S. Giusto del preziosissimo arciprete Francesco Romano e due altri scritti, rispettivamente, dei sacerdoti Vincenzo Baudo (1885-1965) e Antonio Paternostro (1865). A questi scritti, soprattutto a quello di Liotta, ci rifaremo per rispondere ad alcune curiosità. Temo che resteranno delusi coloro i quali pensano che l'unico interesse per un Santo sia rinvenibile nella sua biografia; la vita di S. Giusto è a noi quasi del tutto ignota: solamente sappiamo che fu martirizzato tra la fine del primo e l'inizio del secondo secolo, a un’età che, la perizia medico legale indica intorno al secondo decennio. Le altre notizie tramandate sulla sua vita sono frutto di fantasie. Invenzioni di cui si può e si deve fare a meno. Le trascrizioni che accompagnano il nome latino di Giusto (IVSTVS), lo definiscono Martyr Callaritanus (martire cagliaritano). Come mai un martire cagliaritano a Misilmeri? Perché Cagliari e la Sardegna?

La Sardegna paleocristiana

La Sardegna dei primi secoli è terra d'esilio. Molti degli esiliati, damnati ad metalla, cioè condannati ai lavori forzati nelle miniere metallifere del Sulcis, erano fedeli della Chiesa di Roma; nell'età di Commodo la condanna ad metalla colpì il futuro papa Callisto, mentre nel 235, sotto Massimino il Trace, fu condannato il nuovo papa Ponziano e il suo presbitero Ippolito, morti di stenti durante l'esilio. Il secondo secolo non registra comunità cristiane in Sardegna, e le testimonianze epigrafiche (iscrizioni marmoree rinvenibili sulle tombe) sono da riferirsi alla presenza di deportati. E' il caso di un epitaffio databile al secondo secolo, Aelia Philete, ora perduto, rinvenuto nei pressi della basilica di S. Saturnino, a Cagliari, contenente la dedica ad Aelia Philete e al marito Statorianus. L'epitaffio ha un’indiscussa importanza poiché è la prima iscrizione che oltre ad essere priva della tradizionale dedicatio Dis Manis (dedica pagana agli dei) reca due simboli criptocristiani: l'ancora e il pesce. L'ancora è il simbolo della croce; il pesce allude al nome stesso del Cristo, in quanto le lettere della parola greca (ICTYS=PESCE) contengono l'acrostico della frase Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore (IHESOS CHRISTOS THEOI YIOS SOTER). Difficilmente l'epitaffio può appartenere a persona che sia entrata a far parte della comunità cristiana in terra sarda; più probabile è invece l'ipotesi che Aelia Philete e il marito abbiano varcato il Tirreno già convertiti.

Vere e proprie comunità cristiane in Sardegna si formano a partire dal terzo secolo. Tale convinzione è suffragata dal martirio di S. Saturnino, morto nel mese di novembre del 304, linciato da pagani fanatizzati, nel giorno del culto a Giove (giovedì). Di S. Saturnino patrono di Cagliari, sappiamo che è nobilibus et Christianis parentibus natus et in fide Christi diligenter educatus (nato da nobili genitori cristiani ed educato con devozione nella fede in Cristo). Saturnino, come si evince dalla fonte, sarebbe stato un cristiano di seconda generazione, in quanto i suoi genitori erano cristiani, e ciò ci induce a credere che già nel terzo secolo esistessero comunità organizzate di cristiani. L'ondata di persecuzioni scatenata da Diocleziano agli albori del quarto secolo testimonia inoltre, inconfutabilmente, la massiccia presenza cristiana. Anche se i martiri cagliaritani storicamente noti sono Efisio e Saturnino, c'è da ritenere che il numero dei martiri sia stato nel corso del secondo, terzo e quarto secolo di molto superiore a quello che le fonti storiche della tradizione ecclesiastica attestano. Ciò è confermato, tra l'altro, dall’espressione utilizzata da S. Atanasio di Alessandria tra il 353 e il 362, in una lettera indirizzata al vescovo di Cagliari, S. Lucifero, dove ammirando le sue sofferenze ricorda che anche i suoi predecessori erano stati martiri della fede.

Dopo il martirio di Saturnino e la sua deposizione in una cripta assieme alle spoglie di altri martiri della primitiva chiesa cagliaritana, prende piede il culto devozionale delle comunità cristiane. Ha inizio la consuetudine di costruire imponenti edifici funerari in prossimità delle basiliche, vicino naturalmente a tombe più povere scavate nel terreno o a edifici funerari più modesti, capaci di contenere un solo sarcofago. Le tracce di un’imponente presenza di comunità cristiane vengono alla luce solo nel XVI secolo, dopo che il basso medioevo e il rinascimento avevano letteralmente obliterato i segni delle sepolture paleocristiane. Le ragioni della frenesia che infiamma le ricerche del XVI secolo sono da ricercare nella cosiddetta controversia primaziale; ossia il contenzioso tra gli arcivescovi di Cagliari e Sassari, che si rivelerà lunghissimo, circa il primato ecclesiastico sulla chiesa di Sardegna. Ben presto la questione si spostò sul terreno della storia ecclesiastica, ove ciascuno degli arcivescovati pretendeva vantare diritti alla qualifica primaziale: entrambe le curie così compirono approfondite ricerche sulle origini, i martiri e la cronotassi episcopale. Un fattore che si ritenne avesse grande influenza nel determinare il destino della disputa fu il rinvenimento di reliquie di Santi, in un periodo, quello del concilio tridentino (1545 – 1563) e della Controriforma, che aveva incoraggiato il culto dei Santi ritenendolo non solo legittimo ma grandemente auspicabile. Le ricerche interessarono la chiesa di S. Bardilio a Cagliari, la basilica di S. Saturnino e la cripta di S. Restituita sempre a Cagliari, la basilica di S. Gavino a Porto Torres. Il rinvenimento di reliquie procedette a ritmi impressionanti.

A proposito della basilica di S. Saturnino, nel corso degli scavi ordinati dall'arcivescovo Francisco Desquivel, venne alla luce un frammento recante l'abbreviazione S INNV che colpevolmente fu letta Sancti Innumerabiles, pensando che si riferisse a tutti i corpi sepolti nella basilica. Furono riportate alla luce centinaia di tombe ed epigrafi tutte, non sempre a ragione, attribuite a santi e martiri, a causa dell'erronea lettura della sigla B.M. B(onae) M(emoriae) o B(ene) M(erenti), scambiata per B(eatus) o B(eata) M(artyr). Il Desquivel, per custodire le reliquie, realizzò il cosiddetto Santuario sotto l'altare maggiore della basilica, dove furono collocate 66 urnette, mentre altre 111 furono sigillate nelle cappelle di S. Saturnino e di S. Lucifero. Da questo momento in poi, esauriti gli spazi dentro il Santuario, si presentò il problema di collocare onorevolmente le reliquie che gli scavi restituivano abbondantemente. Non dovette essere difficile la loro collocazione dal momento che molte chiese locali, desiderose di ostentare il possesso di nuove reliquie, ne fecero richiesta all'arcivescovo di Cagliari. Questi d'altra parte assai difficilmente avrebbe rinunciato a una pratica che era non solo assai comoda ma soprattutto formidabile dal punto di vista propagandistico nella disputa primaziale. Almeno tre corpi santi furono traslati in Sicilia. Due di essi a Palermo, nella chiesa di Santa Maria degli Agonizzanti (Santi Pietro e Paolo, martiri cagliaritani), e il terzo, quello di S. Giusto, venerato nella chiesa S. Giovanni Battista, a Misilmeri. A proposito della disputa primaziale essa si risolse solo nel 1971 quando gli arcivescovi di Cagliari e Sassari rinunciarono espressamente al titolo di primate di Sardegna e Corsica.

La donazione a Misilmeri delle reliquie

La donazione delle reliquie di S.Giusto Martire a Misilmeri avviene il 16 maggio 1671. La fonte storica che registra tale avvenimento è un atto notarile del notaio Paolo Lombardo presso l'Archivio di Stato di Palermo. Il documento si divide in due parti: la prima tratta del rinvenimento a Cagliari, il 26 novembre 1645, delle Reliquie del Santo Martire, della loro donazione al nobile Don Giuseppe Della Matta, e acclude copia originale dell'atto del notaio cagliaritano Andrea Mameli; la seconda tratta del trasferimento delle reliquie ai principi e duchi di Misilmeri. Il 26 novembre 1645, in una delle catacombe della chiesa di S. Saturnino a Cagliari, tra sarcofaghi di pietraforte fu scoperto un sarcofago recante la seguente iscrizione: S. IVSTVS M. ET SOCII contenente ossa appartenenti a diversi soggetti. Le sante reliquie furono donate al Della Matta, capitano delle Torri del regno di Sardegna per il Re di Spagna Filippo IV, quale rappresentante di numerosi prìncipi del regno di Sicilia desiderosi di accrescere la devozione e la fede cristiana nell'isola, grazie alla concessione dell'arcivescovo di Cagliari, Bernardo de la Cabra e dei Giurati della stessa città. Con lettera del 23 dicembre 1645, il capitano Della Matta inviò alla nipote, donna Antonia Sagara, le ossa di S. Giusto e Compagni che la stessa, a distanza di poco tempo, donò a Donna Maddalena Bazan, duchessa di Misilmeri e prima moglie di don Francesco del Bosco. Parte rilevante delle reliquie fu trattenuta nella casa di don Francesco, devotissimo e zelante fedele della Chiesa cattolica, mentre alcune ossa, ossia una cannella della coscia di S. Giusto e alcune ossa di un braccio dei Compagni, furono affidate a padre Francesco Faxardo dell'ordine dei Predicatori, confessore del vice Re del regno di Sicilia. Dopo la morte di Francesco del Bosco, la sua seconda moglie, donna Tommasa del Bosco e Sandoval, tutrice e curatrice del figlio, don Giuseppe del Bosco e Sandoval, duca di Misilmeri, principe di Cattolica, conte di Vicari, barone di Siculiana e signore di Prizzi, erede universale di don Francesco, il 17 maggio 1671 donò al ducato di Misilmeri le reliquie, ordinando che le stesse fossero pubblicamente venerate presso la Chiesa Madre. I giurati di Misilmeri, dott. Girolamo Sileci, Francesco Smeraldi, Antonino Nuccio e Nicola Balletta, nell'accogliere le venerande reliquie, elessero S. Giusto Patrono di Misilmeri e si impegnarono a custodirle in perpetuo. Le reliquie erano costituite da 13 frammenti "il Capo e la maggior parte del corpo consistente in numero trentatré mazzetti ed anche le reliquie dei Soci di detto Santo Giusto in più e più pezzi" (dagli Atti del Notaio Pietro Campanile di Misilmeri). Le ossa furono poste dentro una cassa di legno argentato con quattro vetri, e solo le reliquie di S. Giusto erano visibili, perché poste in rialzo, mentre le reliquie degli altri Santi furono disposte nella parte inferiore.

Nel 1783, grazie ai fondi raccolti fra il popolo, fu affidato incarico all'argentiere palermitano Ignazio Richichi di eseguire un'arca d'argento ove avrebbero trovato  più onorevole collocazione le reliquie del Santo Patrono. L'urna reliquiaria fu allestita e consegnata nel 1786.

Una scultura argentea alta circa 15 centimetri raffigurante S. Giusto sovrasta l'intera cassa che reca nella parte apicale il castello. Il marchio di Palermo, l'aquila con le ali spiegate e la sigla RUP (Regia Urbs Panormi), attesta che l'opera fu realizzata dalla maestranza degli orafi e argentieri della città di Palermo, nel periodo in cui console della maestranza degli orafi fu Vincenzo Di Napoli (da qui la sigla VDN stampigliata a pressione). Il documento attestante l'incarico conferito a Ignazio Richichi per la realizzazione dell'urna è stato rinvenuto da don Giovanni Liotta ed è stato reso pubblico, per la prima volta, nel citato volume 'S. GIUSTO PATRONO DI MISILMERI'; committenti dell'opera furono i sacerdoti don Gaetano Di Pisa e don Gaetano Bonanno. Purtroppo nel 1993 la pregiata teca argentea venne trafugata ad opera di ignoti. Il successivo parziale ritrovamento ad opera dei Carabinieri nel 1994, ne consentì il restauro, affidato alla Ditta Amato di Palermo, anche se alcune parti dell'originaria opera sono andate irrimediabilmente perdute. Più volte nel corso della presente trattazione abbiamo parlato di S. Giusto e Compagni, senza nemmeno alcun accenno ai Compagni di cui si fa menzione. In una relazione del 1859, a cura dell'arciprete Giovanni Verga, si fanno i nomi di Epifanio, Esilarata, Innocenza e Andrea, senza tuttavia citarne la fonte. Degli stessi nomi si torna a parlare in occasione della ricognizione disposta nel 1933 dal Cardinale Luigi Lavetrano. E' tuttavia opportuno registrare che sin dai festeggiamenti avvenuti nel centenario della donazione, 1771, si parla solo di S. Giusto, così come delle sole ossa di S. Giusto parla nella sua relazione il dott. Federico Cesare Gucciardi, a proposito della ricognizione disposta dal Cardinale Alessandro Lualdi, nel 1915. L'ultima ricognizione effettuata nel 1996 dal prof. Procaccianti dell'Università di Palermo (grazie all'intervento del prof. Gianfranco Cupidi, misilmerese) e disposta dal cardinale Salvatore Pappalardo, rileva nell'urna la presenza di resti ossei appartenenti a diversi soggetti; le ossa di S. Giusto sono poste nella parte superiore dell'urna ed in evidenza, mentre in una cavità, rivestita da un panno verde, sono contenute le ossa appartenenti ai Compagni. L'esame craniometrico ha evidenziato che trattasi di un cranio di piccole dimensioni, appartenente ad uomo di età fra i 12 e i 20 anni (secondo decennio di vita); il cranio si rivela incompleto e mancante di tutto il massiccio facciale, sostituito da un composto resinoso somigliante alla cera. Quanto all'epoca cui risalgono i reperti ossei, la relazione si limita alla generica ed imprecisa locuzione di 'epoca antica'.

Con la donazione delle reliquie alla università di Misilmeri si sviluppò il culto del Santo Patrono; ogni anno, nell'ultima domenica di Agosto, veniva festeggiata la ricorrenza e tale tradizione si è mantenuta sino ai nostri giorni. Meritevoli di menzione sono i festeggiamenti del 1771 e del 1800. I primi in occasione del centenario della traslazione, quando il rev.do don Domenico Furitano diede vita ad una processione figurata del Santo, la cosiddetta dimostranza, cui parteciparono numerosi attori, composta da 66 quadri ognuno a rappresentare le varie fasi della vita del Martire. I secondi in occasione della visita di sua maestà Ferdinando III di Borbone (re delle Due Sicilie 1759-1825), accompagnato dagli ambasciatori di Austria, Russia e Inghilterra, in onore del quale fu preparato un sontuoso palco nel corso principale, dal quale potè assistere alla corsa de' Barberi. La giornata si concluse con la visita del sovrano alla Chiesa Madre dove, nei pressi dell'abside dell'altare maggiore, era temporaneamente collocato il carro su cui era esposta l'urna argentea contenente le sacre reliquie.

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