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Il racconto di Vincenzo La Lia, Montalbano convoca Andrea Camilleri

Il testo è stato pubblicato anche nella fanpage ufficiale di Camilleri

Il racconto di Vincenzo La Lia, Montalbano convoca Andrea Camilleri

IL MANDATO DI COMPARIZIONE

“Non era ne’ ghiorno nè sira sira, e il portone del commissariato era già avvutato da una bona urata.
Andrea tuppiò vigorosamente e aspitto’ risposta. Si vuto’, diede le spalle al portone, fice due passi avanti e altri due narrè, si fermo’, guardo’ il ralogio sul polso e, visto che nessuno arrispondeva, tornò a tuppuliare con più insistenza e vigore.
Dal balcone del piano di supra una vuce, con tono abbuttato, arrispose:
“Che fa… non può aspittare più ? Che c’avi primura?”
Iso’ lo sguardo e la voce prese corpo. Era Catarella, che con un fazzoletto si stava energicamente stuiando le mani ancora bagnate.
“Ero assittato, per un affare urgente urgentevolissimu, e non su ‘na seggia o supra u divano… non so se vossia m’ accapisce….”
Il distinto signore si tolse la sigaretta dalla bocca, l’allontano’ dal viso, ed annuì.
“Che cosa voli, chi è vossia…? Deve querelare qualche querulo?”, chiese Catarella.
Andrea uscì dalla tasca interna del suo cappotto una littra, la sventolo’ al suo interlocutore, e con voce lenta e rauca arrispose:
“Camilleri sono, e questo è un mandato di comparizione a firma del commissario.”
“Aspittasse due astanti, che avviso il dottori.” rispose Catarella, prima di scomparire dalla porta che dava sul balcone.
Passiarono a si e no’ una ricina di minuti e Catarella rispuntò.
“Dottori Cammelliere, il portone rapruto è, lo ammuttassi e trasisse, che il dottori la stava già aspittando di pirsona pirsonalmente, già da la matinata di stamattina, quanno era matina.”
Camilleri rimise in sacchetta la littra, si aggiusto’ la giacca ed entrò.
Sali’ lentamente le scale, appoiandosi cautamente al corrimano, e raggiunse Catarella, che già si attrovava davanti a la porta d’ingresso, sull’attenti e con aria surridente.
“Mi seguisse, dottori Cammelliere, che l’ accompagno dall’ autro dottori mia. Ah…dottori dottori, onoratisissimo sugno di fare la vostra cunuscienza! Trasisse…trasisse!”
I due attraversono il corridoio che portava alla stanza del commissario.
Catarella tuppiò animatamente alla porta, e trasì, con la mano misa a paletta supra la tempia, per rispetto al commissario.
“Dottori… pozzo trasire? Distrubbo…?”
“Catare’, oramai sei entrato. Che domande fai?”
“Dottori, c’è Il dottori Cammelliere. Che fazzo…? Lo fazzo accumudare?”
“Catarè…se lo sto aspittandu, mi sembra logico che tu lo faccia accomodare! E si chiama Camilleri, non Cammelliere!”
“Dottori…e io che dissi?”
Catarella si girò verso la porta, la raggiunse, si rimise all’attenti, ed invitò Camilleri ad entrare.
Per via dell’età, il Maestro entrò con passo lento, aiutandosi con il bastone, taliò faticosamente la stanza in ogni suo particolare, prima a dritta e poi a mancina, e pensò, compiaciuto, che era tutto dove doveva essere.
Poi raggiunse Montalbano, che si ni stava appoiato davanti a la scrivania, e ci si mise faccia a faccia, per scrutarne da vicino ogni particolare.
Per i due, fu come taliarsi ad uno specchio, come se fussiro la stissa pirsona, ma sdoppiata in due e con diverse fattizze.
Andrea sbarrachio’ gli occhi e mimo’ un buffo sorriso, e lo stesso fece Salvo, poi inarco’ le sopracciglia in alto e altrettanto fece Montalbano, come in un un gioco di smorfie di chi sulo si sta prendendo pi fissa ravanti al suo stesso riflesso.
Con un sussulto, attipo di chi si desta da un sogno, e taliando per terra, il Commissario invitò Camilleri ad assitarsi, e gli chiese con un certo imbarazzo:
“Vossia sa chi sono io…?”
“Vagamente…” rispose Camilleri divertito.
“Vossia è sempre ironico, sappiamo entrambi chi siamo, e di mia sapi choissà a Vossia, che perfino lu signuruzzu ‘n cielo!”
“E da mia ora che voli…? Perché mi ha mandato a chiamare?”
Montalbano principiò a passiare avanti e narrè per la stanza senza parlari, poi si fermò dietro la spalla del suo interlocutore, e faccennosi seriu seriu, rispose:
“Deci minuti ‘nto letto cu na fimminazza e hai procreato.
Deci minuti d’amuri con tua mogliere o la tua compagna e addiventi genitore.
E poi jorni, mesate, o forse anni, di pinsate di fantasia, e diventi padre di tia stesso”
“Deci minuti è il suo tempo massimo?” replicò Camilleri con aria sorniona.
Montalbano non ci diede piso alla mala battuta, stette muto per qualche minuto, e poi arrispose:
“Il mio tempo massimo, è quello che vossia ha stabilito e deciso, come per ogni cosa che m’ arriguarda e chi forsi l’arrispecchia. Infatti, io con le fimmine e con il manciare, c’ ho lo stesso preciso identico rapporto che c’havi vossia, o che forse, anni narrè c’ha avuto”
Quella risposta fu la stessa ‘ntifica cosa, che in quel momento, un tanticchia malincuniuso, stava pinsanno macari Camilleri.
“Isse al dunque Montalbano! Picchì m’ ha fatto cunsignare chisto mandato di comparizione? Che voli da mia?”
ll Commissario si pigghio’ di curaggio, fici un sospiro e addumannò:
“Vossia ancora fuma?”
“E mi ha mandato a chiamare, pi addumannarmi chista minchiata? E poi a lei chi ci ni futti?”
Montalbano gli si avvicinò, puntandogli l’ indice minaccioso verso la facci.
“Che me ne fotte…che me ne fotte? Me ne fotte eccome!”
“Sintemo, quali è la sua motivazione. Curioso sugnu!”
“Ad una certa età, certi lussi come il manciare, le sicarette e macari le fimmine, accorciano gli anni che ci arrestano!”
“Mi sta tirando per i piedi?” Addumanno’ Camilleri ammammalocuto, facendo corna, con una mano rivolta verso il basso, e con l’altra sul mappamondo con la base di ferro, appoiato sulla scrivania.
“Eh no… eh no … Lei non ha capito una beata minchia. .. con rispetto parlando! Alla sua salute ci tengo eccome, picchì se a vossia ci capita un malanno, è uno di quei casi in cui, padre e figghiu fanno la stessa fine, nello stisso, preciso, intinficu minutu!”
Camilleri lo taliò, e a picca a picca, su la so facci accumincio’ a disignarsi ‘na granne, enormi e fragorosa risata, accussì coinvolgente, da fare arririre senza mutivu e senza sapire il picchì, macari il commissario.
Poi si susì dalla seggia, e sostituenno la risata con ‘na taliata seria, replicò: “Quanto dura una quartara sfunnata, un ne dura una sana… se lo arricordasse! Invece, per quanto arriguarda a lei, caro commissario, ri un minuto all’autro, se mi fa firriare ancora i cabbasisi, vossia po’ chiuire l’occhi pi’ sempre in mille maneri! In ‘na sparatoria, per un sintomo mentre nata, pì un marito giluso, ‘ncazzatu ed armatu , e tante altre belle cose! A mia basta sulu un corpo ri penna!”
Poi si susiì, aiutandosi con il vastuni, si diresse verso la porta, e taliando un’urtima vota Montalbano, lo salutò:
“Tante belle cose carissimo Montalbano, e s’ arricordi chiddo ca ci rissì, a proposito della quartara! Che quanto dura una ciaccata…”
(Vincenzo La Lia)

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1 Commento

  1. ADELE

    Immagino che lo stesso Camilleri legga divertito e compiaciuto...
    Complimenti, Enzo. Chi avrebbe mai immaginato?

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