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Licantropi e panelle

”Scrivofono Sicano” la rubrica di Vincenzo La Lia

Licantropi e panelle

Quella era l’ora, in cui le strade, venivano malamente alluminate dai lampioni, appesi a pinnuliare, nei fili che le attraversavano da parte a parte. Ad ogni colpo di vento si annaculiavano e il fascio di luce che partiva dalla lampada, ne seguiva il movimento. Era Tutto diserto, a parte qualche cane bracco che tampasiava paese paese, accompagnato dallo scruscio del vento che infilandosi, tra persiane, cannaloni e qualche ramo rinsiccuto, degli alberi disposti allato alle vie, friscava con una tetra melodia e con intenzita’ alternante. Natalino Cannavò quella nuttata, forse a causa di quello sfincione troppo salato, chino, chino, di cipolle rosse e sarde salate che ancora ci abballariava nello stomaco, di prendere sonno, non ne voleva sapire e da dirarrere la pirsiana, chiusa a vanedda, osservava tutto ciò. La larga strata dove abitava, si intersicava a una ventina di passi più o meno, con una Strata più stritta e non illuminata, dove le ummire, parevano chiu’ minacciose e facivano più scanto.

Immiscato e parzialmente occultato, dallo scruscio del vento, gli parve di udire, una vuciata lamintusa e sovrumana, comu quasi fussi un ululato. Per un attimo, negò a se stesso, la natura di quel che aveva sintuto, dicendosi (Natalino sì propria una fimminedda scantulina , sicuramente sarà nonno Asparino che arrunfulia, come uno sdisanurato. A 13 anni sunati e doppo che hai vasato a stampo Giovannnella ,ancora crire alle minchiate sui lupunari?)
Poco passò e l’ululato si ripresento’ ma stavolta, in modo più chiaro, più definito e accompagnato, da quella figura, menza ammucciata dallo scuro, della vicina via.
Un arrisagghiune, gli sali alle spalle e dallo scanto, gli arrizzo’ il pilo delle braccia. Quel racconto, di scantare del suo compagno di classe, Pietro Tumminia, sul lupunaro panellaro si materializzava, davanti ai suoi occhi. Si inturciuniava, come chi ha dolori alla panza e ululava intensamente e sempre più forte. Ad ogni tentativo di oltrepassare quell’incrocio, seguiva un ululato, ancor più terrificante che pareva nescire dagli inferi, scatinato forse dalla difficoltà dei lupunari, in quanto esseri demoniaci a varcare gli incroci che per loro forma, ricordano la santa croce, dove fu crocifisso nostro Signure. I colpi di vento , si susseguivano e venne una folata così forte, da sbarrachiare quella menza pirsiana, prima avvaniddata. Adesso soltanto un vetro di qualche millimetro, separava Natalino dal lupunaro panellaro.

In quel preciso istante, anche lui era addivintato visibile alla terreficante creatura e furono occhi contro occhi. Sguardo dimoniaco contro sguardo tirreficato di Natalino. Quelle due pupille parevano due purtusi, da dove si poteva intravedere tuttu lu nferno, addumati e rossi comu il sangue appena nisciuto dalle vine. Furono attimi interminabili e per Natalino fu’ malanuttata. Come avrebbe potuto, andarsi a curcare, con lo scanto che il panellaro lupunaro, potesse attraversare quel lembo di strada, ed entrarci nella stanza per squartariarlo e farne un muccune da agghiuttire per intero?
Appinnicato appoggiato alla finestra, si fece giorno, la tuppuliata e la voce di suo padre, lo ridestarono dal torpore ( Natalino struvigghiati. Ma che sei malato di sonno ? Sono le sette e menza e a momento scura. Priparati la cartella e vattinni a scuola! ).

Fu’ la solita routine le solite cose, la strada per la scuola, lo scaccanio dei compagni di classe, la maestra schetta arraggiata che ci tirava le aricchie per ogni tabellina ditta a comu e ghe’, il bidello con la mano di legno rivistita dal guanto nero chi priparava il caffè e che faceva più scanto del lupunaro. Ma il tutto ossessivamente intercalato da quel pensiero fisso che non gli dava pace ( il panellaro lupunaro, ora che sa che io so, mi muzzichera’ e mi farà addivintare come e iddo, e mi spunteranno pila sulle spalle come il nanno Asparino e scagghiuna a punta).
Natalino di mostri non ne capiva nulla, era ignorante in materia e scanciava i vampiri suca sangue, con i lupunari scanna cristiani. La routine giornaliera continuò con la ricreazione.

Quell ‘esercito di picciriddi che come furmicole in un formicaio si spostavano in massa verso il cancello chiuso con le sbarre scorrevoli attipo putie alimentari. Ancora erano troppo nichi e indifisi per uscire fuori da quell’alcova. Sotto lo sguardo vigile del bidello con il mugnune e protetti da quel cancello, accattavano panini dai tanti venditori abusivi che sostavano davanti quel cancello. Immancabile la lambretta giallognola di Tano, panellaro di giorno e lupunaro di notte. Il piccolo Natalino le panelle le avrebbe mangiato pure a colazione e imbevute nel latte, talmente ne era licco ma quel giorno al solito panino con panelle e cazzilli preferì un semplice panino conzato con fillata e provoleta .

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