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Operazione Jafar. Tra guerra di mafia, pestaggi, pentiti e collaboratori

Due interessanti articoli tratti da Live Sicilia

Operazione Jafar. Tra guerra di mafia, pestaggi, pentiti e collaboratori

Vi proponiamo due articoli tratti da Live Sicilia in cui si parla di alcuni dettagli dell’operazione Jafar che ieri ha portato all’arresto di 7 persone tra Misilmeri e Belmonte Mezzagno. Dal pentito Sollima alle conversazioni tra Ippolito e Ciaramitaro che svelano i retroscena di una guerra di mafia che si stava per aprire nel territorio di Misilmeri.

 

"Il titolare si inginocchiava"  – Il neo pentito, il pizzo e i nuovi boss

 

PALERMO – Era un uomo libero. Ecco perché la collaborazione di Salvatore Sollima, l'ultimo pentito del clan di Bagheria, viene giudicata genuina. Genuina e attendibile. È stato lui, infatti, fornendo un primo riscontro, a fare ritrovare armi e munizioni a casa di Andrea Andolina, arrestato pochi giorni fa perché in possesso di una pistola semiautomatica calibro 7.65 con otto cartucce ed un revolver calibro 38 special con matricola abrasa, caricato con cinque colpi.


La collaborazione di Sollima è alle battute iniziali. La sua scelta di cambiare vita, per sé e i suoi familiari, è datata 24 febbraio. Giusto in tempo per fare confluire le sue dichiarazioni nel fermo eseguito dai carabinieri del Nucleo investigativo e chiesto dai pubblici ministeri Leonardo Agueci, Francesca Mazzocco e Alessandro Picchi. Nell'unico verbale finora noto, Sollima ricostruisce i primi passi mossi all'interno dell'organizzazione: “Persone che conoscevo da tempo, mi chiedevano di entrare a fare parte della famiglia mafiosa di Villabate”, poi “dopo un periodo di riflessione decidevo di mettermi vicino a La Rosa”. Si tratta di Giovanni La Rosa, arrestato qualche mese fa, con cui il neo pentito dice di essere stato avviato al lavoro sporco: “Un giorno tra Villabate e Ficarazzi, vicino ad un grande supermercato avevano appena avviato un autolavaggio. Io e Giovanni La Rosa ci siamo recati all'autolavaggio, io sono restato in macchina mentre Giovanni chiedeva al titolare dell'autolavaggio se era autorizzato da Cosa nostra”.

L'epilogo della vicenda dimostra quanto ancora sia forte la capacità intimidatoria della mafia:“Lui sosteneva che era autorizzato anche se a noi non risultava. Dopo qualche altro giorno il titolare dell'autolavaggio veniva a trovarci e si inginocchiava davanti a Giovanni La Rosa chiedendogli di autorizzarlo ad aprire ma non gli veniva concessa. Poi, nel giugno 2014, La Rosa e Terranova venivano arrestati insieme ad altri mafiosi di Bagheria, tra i quali Atanasio di Ficarazzi”.

A questo punto il suo verbale si riempie di omissis che servono ai pubblici ministeri per coprire i nomi che il neo pentito ha detto ai carabinieri. Decine e decine di personaggi con cui Sollima è entrato in contatto: “… mi venivano a cercare e ci incontravamo in zona Acqua dei Corsari… siccome tutti erano stati arrestati… avremmo dovuto adoperarci per mantenere i carcerati incassando alcune estorsioni e commettendo altri delitti ed 10 accettai”. Di alcuni l'identità è stata svelata, come nel caso di Giuseppe Vasta, Alessandro Ravesi e Aristide Neri. “Ho conosciuto un soggetto che io chiamo 'u colossi' perché è molto imponente e un tale Pino che ha una Panda verde – racconta Sollima -. Quest'ultimo io lo rintracciavo ad un distributore di Misilmeri tramite il dipendente che lavora li. Lui ci fissava appuntamenti, presso un gommista vicino la caserma dei Vigili urbani. Questo Pino ha avuto dei problemi con uno di corso dei Mille”.

Ed ancora: “Pino è venuto a trovarmi perché un suo amico che vive all'estero, in Venezuela, ma che ha una casa a Piazza Torrelunga era stato avvicinato da alcuni soggetti che gli avevano puntato un coltello alla gola minacciandolo di lasciare quella casa. Mi impegnai per risolvergli la questione. Poco dopo venivo a sapere che il soggetto che aveva puntato il coltello al venezuelano era il figlio di Di Pasquale, persona anziana che era da poco scarcerato dopo una lunga detenzione… il giovane Di Pasquale voleva fare una rapina al venezuelano”. Per mettere a posto le cose gli fu suggerito di rivolgersi a Pino che lo stesso Sollima individua, riconoscendolo in foto, in Giuseppe Vasta. Un formidabile riscontro alla sua ricostruzione arriva dal fatto che ci sono stati dei contatti, via telefono e Skype, fra Vasta e Salvatore Chiaracane, originario di Palermo ed emigrato in Venezuela.

Così come Sollima riconosce Ravesi e Neri: “Circa due mesi fa, il 'Colossi' mi disse che gli serviva una moto rubata per fare qualche lavoro sporco, delittuoso intendo. Questo 'colossi' è un mafioso rilevante insieme a Pino, i due comandano a Misilmeri. Un giorno il 'colossi' mi disse che c'era un ragazzo con il codino insieme ad un altro soggetto che si occupavano di edilizia, che prima che arrestassero Franco Lo Gerfo ndr)… erano vicini a Franco come uomini a disposizione di quest'ultimo, i quali stavano chiedendo il pizzo non essendo autorizzati a farlo, anche dopo l'avvento di questo Pino… un giorno dovevano recarsi presso un bar che si trova vicino al mercato ortofrutticolo di Misilmeri per incassare una estorsione. Il 'Colossi" e Pino mi informavano che i due non erano autorizzati a farlo e per tale motivo insieme a loro mi recavo nel retro di quel bar, ove c'è un piccolo giardino per aspettarli e bastonarli a dovere. Il progetto non riusciva in quanto i due non si presentarono”. Sollima non ha dubbi: 'Colossi' è Ravesi, mentre il ragazzo con il codino, che agiva senza autorizzazione, è Aristide Neri. Di loro conosciamo l'identità, ma sono tante le individuazioni fotografiche nascoste da decine e decine di omissis.

 

 

"Deve abbuscare colpi di legno" – Mafia e pestaggi a Misilmeri

 

PALERMO – La vittima non è stata identificata. Non sappiamo come sia andata a finire. Le microspie svelano, però, l'organizzazione di un pestaggio. E offrono pure alcuni dettagli sull'uomo finito nel mirino dei mafiosi di Misilmeri fermati ieri nel blitz denominato Jafar.


La conversazione fra Giovanni Ippolito e Francesco Ciaramitaro descrive un clan dove le controversie si risolvono a colpi di bastone. Ippolito, secondo la ricostruzione dei carabinieri del Comando provinciale, avrebbe coordinato, su ordine dei capimafia Francesco Lo Gerfo prima e Giuseppe Vasta poi, il lavoro sporco dei picciotti del pizzo. Tra un'estorsione e l'altra, però, ci sarebbero stati degli extra da portare a termine. Tra cui la spedizione punitiva ai danni di un uomo per chissà quale colpa commessa. “… il lavoro di questo di qua del paese, digli ai picciuttieddi quando si deve fare”, chiedeva Ippolito. E Ciaramitaro: “… e quando dici tu, lo dobbiamo fare… lo dobbiamo fare di giorno, di sera?”.

Ippolito dava due alternative: “… quando lo vogliono fare, entro mezzogiorno… quando va a mangiare o la sera quando si ritira… la sera con il buio è meglio”. Bisognava aspettarlo “fuori in campagna” dove la vittima “si ritira” a volante di “una Mercedes vecchio tipo”. L'uomo era un tipo da non sottovalutare. “È uno tanto”, diceva Ippolito per descriverne la statura possente. Ciaramitaro non sembrava preoccupato: “… può essere pure due metri… deve abbuscare? Colpi di legno? Collane non ne ha, oro, cose?… quello che ha addosso gli si prende, abbusca colpi di legno”. Voleva approfittare per rapinarlo. Ippolito forniva consigli su come intervenire: “Ci devi entrare dentro? … vi mettete verso la nelle piante”.

L'intercettazione è dell'aprile scorso. Il pestaggio è stato messo a segno? Le cimici non lo svelano. Di certo non risulta alcuna denuncia. Ma che qualcuno si rivolgesse alle forze dell'ordine era un'ipotesi che neppure gli investigatori hanno messo nel conto.

 

 

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1 Commento

  1. DUBITEZZA

    Venezuelano? Gli fu suggerito di rivolgersi a Pino??? Ma che dice? Il "venezuelano" è figlio di Misilmeresi, abitava in Piazza Torrelunga , è cugino di Vasta, è partito molto tempo dopo la laurea...Ricostruzione arraffazzonata a muzzu comu i cavuli a mazzu?

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