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Sogno platonico e rivoluzione scientifica

La recensione di Domenico Tubiolo

Sogno platonico e rivoluzione scientifica

Riceviamo e pubblichiamo un interessante articolo destinato ad essere pubblicato sulla rivista Nuova Busambra il cui comitato di redazione, per gravi problemi finanziari, ha sospeso la pubblicazione. L’autore della recensione Domenico Tubiolo ci ha gentilmente concesso la pubblicazione. Buona lettura

 

1. Un saggio di storia della filosofia che riconsegna alle attenzioni dei lettori Alexandre Koyrè (1892 – 1964) è quello pubblicato da Francesco Crapanzano per i tipi della Leo S. Olschki di Firenze, ed. 2013,  nella collana Biblioteca di Nuncius – STUDI E TESTI LXXIII – dal titolo Koyrè, Galileo e il vecchio ‘sogno di Platone’. Crapanzano è un giovane studioso, docente presso l’Università di Messina che, a dispetto dell’età, ha pubblicato importanti opere di storia della filosofia di cui una,  Tra epistemologia ed ermeneutica (2003), mette subito in chiaro che egli è uno storico che sa districarsi  con disinvoltura nel  territorio in cui si muove l’attuale dibattito filosofico; diviso tra continentali ed analitici, secondo una prospettiva interpretativa del tutto attendibile ascrivibile a Franca D’Agostini.

Il saggio su Koyrè è anzitutto un omaggio al filosofo russo, allievo di Husserl, noto per la sua produzione di storico della scienza; un omaggio alla sua grandezza non celebrativo, attempato, corrivo, ma istitutivo di una lettura che pone nella giusta luce la ricerca filosofica di Koyrè accanto alla ben più nota attività di storico della scienza.

Tre sono i saggi di Koyrè, nei quali, secondo la lettura di Crapanzano, emerge quella sua originalità che ha termine nel cosiddetto ‘sogno platonico’: Introduzione a Platone, Platone e Galileo, Newton, Galileo e Platone.

2. Il primo dei tre saggi mette subito in evidenza l’originalità dello storico della scienza russo, di cui è cifra l’approccio diretto ai testi di Platone e la rinuncia ad ogni mediazione interpretativa. Leggere Platone può non essere ‘piacevole’, ma può provocare una ‘gioia intensa’ per la profondità di pensiero che esprime e la ‘classicità’ assoluta che rappresenta. ‘Nondimeno il lettore resta perplesso di fronte all’assenza di risposte alle domande che di volta in volta si pongono nei dialoghi’. Molti studiosi imputano questa mancanza al fatto che i dialoghi in cui Socrate è protagonista, mirano a restituire la sua immagine di maestro che non insegna una dottrina, ma un metodo, il ‘sapere di non sapere’. Ma secondo Koyrè, che sul punto è pienamente d’accordo, resta sempre l’imbarazzo del lettore moderno beffato dall’ironia di Socrate che, puntualmente, dopo avere fatto piazza pulita delle tesi del suo interlocutore, abbandona il campo senza alcuna apparente spiegazione. Così è nel Menone dove il tema è la virtù. E’ insegnabile la virtù? La virtù è insegnabile solo se è una scienza, ma nessuno l’ha mai insegnata. Il dialogo si conclude  con una sorta di pattern killer: potremo risolvere il problema quando non cercheremo il modo con cui si acquista o si possiede virtù, prima di cercare che cosa essa sia. Ma Socrate deve recarsi altrove e non ci dirà mai che cosa essa sia.

La virtù è ancora il tema del Protagora. La conclusione è la stessa: impossibilità di definire la virtù e quindi di insegnarla. Questa volta però il protagonista del dialogo è Protagora, creatore di un sistema filosofico che Socrate considera di interesse, al contrario di Menone che rappresenta l’uomo della strada, il sentire comune. Quando egli riconosce la vittoria a Socrate sembra di essere caduti nell’occhio di un paradosso. Se Socrate dichiara che la virtù è una scienza ma non si può insegnare, Protagora pretenderebbe di insegnarla negandole il carattere di scienza.

Il terzo dialogo è il Teeteto. Qui il tema è la scienza e cosa essa sia. Teeteto non sembra sprovveduto ed alla sollecitazione di Socrate che chiede che cosa sia la scienza, prima risponde fornendo un elenco di scienze invece di definirla, poi affermando che ‘scienza è sensazione’, ancora che è ‘opinione vera’, ed infine che è ‘opinione vera accompagnata dalla ragione’. Nonostante gli sforzi di Teeteto i suoi tentativi cadono tutti ai piedi delle critiche socratiche; ma Socrate deve recarsi al Portico del Re e non ci sarà occasione per un nuovo incontro. Non sapremo mai che cosa sia la scienza. Il dubbio che l’ironia di Socrate colpisca non solo i suoi interlocutori ma anche i suoi lettori è più che fondato. Ma non così per Platone. Platone non può burlarsi dei suoi lettori ed allora la soluzione di Koyrè ci viene in soccorso con tutto il rigore di cui è capace. Il dialogo platonico non è un espediente, un genere letterario fittizio,  per esporre la propria dottrina: non dimentichiamo che i dialoghi sono concepiti per essere rappresentati in teatro, anche se non è accaduto con frequenza. L’ascoltatore dunque resta protagonista, oggi così come al tempo di Platone. Il pubblico ateniese doveva essere al corrente di ‘vicende, fatti, usanze’ che rendono comprensibili le allusioni contenute nel dialogo ed il riconoscimento di ‘particolari che sembrano accessori. ‘Ciò permetteva all’uditore di scoprire da sé la soluzione socratica’.

Ma Koyrè non ci lascia con la bocca asciutta e  indica il percorso per la corretta comprensione del pensiero socratico a noi che non siamo coevi di Platone. E’, suggerisce Koyrè,  l’incapacità di pensare di Menone –  cosa che non ha potuto imparare alla scuola dei sofisti – che lo porta a condurre la discussione sul terreno della sua ‘insegnabilità’, prima di sapere ciò che in se stessa è. La virtù non può essere insegnata a chi crede che essa sia ‘una tecnica per raggiungere lo scopo desiderato’ (Menone). Essa deve essere insegnata  con l’esempio operante. La risposta allora al quesito iniziale posto nel dialogo è si, la virtù si può insegnare perché è una scienza, ma non la si insegna a Menone.

Analoga soluzione è proposta all’apparente paradosso in cui scivola la conclusione del Protagora: ‘se la virtù fosse ciò che i sofisti insegnano ai loro scolari, essa non sarebbe certamente scienza’ ma se essa è scienza intuitiva dei valori e del bene, allora essa può essere insegnata, non da Protagora ma da Socrate, cioè dal filosofo, poiché altro non è che la filosofia.

Altri dialoghi su cui si sofferma l’analisi koyreana sono il Lachete, l’Eutifrone, il Carmide.

La Repubblica infine è l’opera che più sembra richiamare la passione di Koyrè, anche per alcune vicende personali che lo hanno visto impegnarsi e subire il carcere durante la rivoluzione russa. Protagonista dell’opera non è lo Stato, ma l’uomo, il cittadino, la città giusta. Atene è la città dove Socrate riceve la condanna a morte, dove la politica non è amica della sapienza. Non si può continuare a vivere in essa; la risposta potrebbe essere quella di fuggire dalla città, dal suo governo. Ma Platone non può cedere a questo ripiegamento, egli è filosofo e sa che la filosofia è nata nella città. La via d’uscita allora è quella di riformare la città, perché solo una città ingiusta ha potuto condannare Socrate, il più saggio fra gli uomini.

3. Cosa può interessare ad un moderno la riforma della città proposta da Platone? ‘Lo stato moderno sembra quanto di più distante ci possa essere dalla polis’. Koyrè insinua che l’apparente incolmabile distanza sottende un pensiero politico di straordinaria attualità. Ed invero, Platone parla agli ateniesi nella stessa misura in cui parla a noi,  quando descrive una democrazia ateniese che va verso la dittatura, o quando constata che, dal punto di vista antropologico, gli interessi che muovono l’uomo sono sempre gli stessi, in positivo e in negativo: fedeltà, amore del vero e devozione al bene, onori, denari, potere. E’, quello di Platone,  un avvertimento a non confondere l’uomo di Stato ed il demagogo che agisce e lavora per il proprio interesse, a non lasciare che si diffonda il disprezzo della legge, a scegliere con accortezza chi avrà il pubblico potere ed evitare che l’aristocrazia del dovere si trasformi in una cacocrazia dell’ambizione.

4. ‘Uno studio su Platone di Koyré non poteva trascurare il particolare ruolo concesso da questi alla filosofia platonica nella fondazione della fisica’. Ecco spiegata la ragione, secondo Crapanzano, per la quale la prima edizione italiana della Introduzione a Platone rechi in appendice uno scritto dal titolo Galileo e Platone. Qui lo storico della filosofia oriundo siciliano riconosce a Koyrè un ruolo del tutto particolare nel dibattito filosofico ed epistemologico; perché se è ormai un dato acquisito che gli scienziati adottino, anche inconsapevolmente, una metafisica e questa indirizzi gli sviluppi della loro stessa attività di ricerca, se è noto che Galileo abbia sostituito la metafisica aristotelica con una di tipo platonico più asettica e incline alla matematizzazione della natura, un ulteriore valore che gli studi di storiografia koyreana aggiungono è il cosiddetto ‘svecchiamento’ di Platone, il fatto che la sua filosofia ci appaia meno lontana di quanto si possa pensare. Il ‘sogno di Platone’ allora è la nemesi del filosofo dell’accademia, il suo ritorno al centro dell’universo scientifico quale territorio più rappresentativo della cultura moderna e contemporanea, dopo secoli di vicariato all’aristotelismo.

Galilei è lo scienziato che ha prodotto il più profondo rivolgimento del pensiero umano dopo l’invenzione da parte dei greci del Cosmo. La spiegazione del radicale cambiamento da egli inaugurato non può essere formulata con gli strumenti del continuismo scientifico, così come è insufficiente ogni ipotesi che trovi nella transizione dalla vita contemplativa a quella activa, dalla theoria alla praxis il senso di quel rivolgimento. L’idea che la rivoluzione scientifica del ‘600 sia figlia della tecnica e del meccanicismo non spiega alcunché. Questo scenario, secondo Koyrè, va decisamente rivisto. Così come devono essere riviste le spiegazioni secondo cui furono le osservazioni del senso comune a far prevalere Galileo e Cartesio su Aristotele, perché è vero proprio il contrario. Non è ‘l’esperienza’ ma ‘l’esperimento’ come interrogazione della natura alla luce di un metodo,  che ha un ruolo importante nella nascita della fisica. La sperimentazione è, secondo Koyrè, una domanda posta alla natura e formulata in linguaggio geometrico. ‘Il passaggio da Aristotele a Galilei non è quello dal dogmatismo teorico all’evidenza empirica, ma quello dall’evidenza empirica del senso comune all’autorità dell’evidenza matematica’. Questi, comunque, sono sempre i sintomi di quello che è il vero stravolgimento cosmologico che la fondazione della scienza moderna produce: cioè a dire, non la proposizione di nuove o l’emendazione di vecchie teorie, ma la distruzione di un mondo e la sostituzione con un altro. Ed in effetti, l’approccio matematico alla realtà, la tendenza ad espungere gli aspetti qualitativi dei fenomeni definiti soggettivi e decidui, la spiegazione dello spazio reale attraverso lo spazio geometrico e le sue entità non esperibili (la linea, il punto), dovettero stupire e confondere i contemporanei di Galileo e conferiscono all’opera Dialogo sopra i massimi sistemi, oltre ad una funzione di difesa di una nuova scienza, il significato di un’opera di filosofia, perchè filosofico è il fondamento ontologico.

Come si può ben capire dalle poche considerazioni svolte, il saggio di Crapanzano si muove dentro uno dei periodi forse più fecondi dell’evo moderno, attraverso l’esame di uno dei più fini ed  originali studiosi della storia del pensiero scientifico. L’excursus di Crapanzano, tra l’altro, non tralascia di dare parola alle interpretazioni critiche della filosofia di Koyrè, di chiarire il rapporto con altre pietre miliari del pensiero filosofico come Cassirer e Husserl. Ma non è possibile dare spazio, in queste poche battute, a tutte le questioni trattate nel saggio: può soccorre solo la sua integrale lettura. Resta il sospetto che l’idea di scienza che passa attraverso gli occhiali di Koyrè sia eccessivamente sbilanciata verso una forma di idealismo che, dietro il platonismo di Galileo, lascia intravedere il platonismo di Koyrè; un platonismo che qualche volta sembra irrispettoso dei fatti, li mortifica, anche se dopo la grande parentesi neopositivista risulta sempre più difficile pensare al fatto pre-teorico, all’Erlerbnis, al protocollo o alla dicotomia teorico-osservativo.

Da segnalare, infine, la chiarezza e la scorrevolezza del testo crapanzaniano ed uno stile narrativo che, attraverso una sapiente anteposizione della conclusione all’argomentazione, rende vorace la curiosità del lettore. Non ho trovato sul libro il prezzo segnato, dal che evinco con sufficiente grado di certezza, che non sia in vendita, salvo smentite. Io l’ho trovato presso la biblioteca comunale ‘G. Traina’ di Misilmeri, grazie alla preziosa collaborazione della bibliotecaria, sig.ra Leone.  

Domenico Tubiolo

 

   

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7 Commenti

  1. Frau Ci

    Non occorre droga o antidepressivo... e che la filosofia non debba considerarsi una disciplina astratta o lontana dagli interessi della vita quotidiana é cosa dimostrata dall´attuale diffusione dei "consulenti filosofici" anche all´interno di aziende, vedasi il canadese Lou Marinoff e la sua pubblicazione piú famosa "Platone é meglio del Prozac", ma andando a ritroso si potrebbero citare, con il disgusto di molti puristi della disciplina, i simpaticissimi scritti divulgativi di De Crescenzo. Partendo dal presupposto che non conosco Koyré, quindi nulla posso dire sulla recensione o sul volume di Crapanzano, sarebbe interessante sapere se i passi di Platone sono stati tradotti direttamente dall´ autore del saggio (Crapanzano) e poi controllati dal recensore (Tubiolo)oppure tratti da una traduzione ed eventualmente da quale...da filologo classico devo riconoscere che questo errore é molto ricorrente presso i filosofi. Mi ha lasciato un tantino perplessa l´affermazione "non dimentichiamo che i dialoghi sono concepiti per essere rappresentati in teatro, anche se non è accaduto con frequenza": non mi risulta che dialoghi filosofici venissero rappresentati in teatro nel mondo antico- semmai si potrebbe parlare della reciproca influenza dei generi filosofico e drammatico, anche se questo aspetto sembrerebbe essere piú marcato nei dialoghi ciceroniani (la cui ambientazione é il primo secolo dell´etá repubblicana) che in quelli platonici (la cui cornice é quasi contemporanea). Due piccoli refusi (che mi auguro non siano nella recensione pubblicata) sono "escursus" per "excursus" ed "enlerbnis" che, non capendo cosa sia, deduco sia il tedesco "Erlebnis" (maiuscolo come tutte le parole in tedesco), cioé la conoscenza basata sull´esperienza. Il libro di Crapanzano é in vendita al prezzo di 24 euro.

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    1. D.T.

      Grazie per l'attenzione posta nella lettura dell'articolo – ci sono lettori che leggono anche senza ricorrere agli allucinogeni – e per la puntuale segnalazione di due errori ortografici di cui, ammetto, difficilmente mi sarei avveduto. Come affermava Hegel nella Scienza della Logica, ciò che è noto per ciò stesso non è conosciuto. Naturalmente invito la redazione di Misilmeri Blog a correggere secondo le sue indicazioni.
      D.T.

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  2. Pippina a' Pia

    Caro LSD ho più paura dello strafarsi di minchiate giornaliere che della filosofia, psicologia, economia, diritto, matematica, fisica, chimica e di tante altre discipline che ci insegnano della conoscenza e della vita umana! 😉

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