Ines quella notte non chiuse occhio, il cuscino era ancora bagnato e il mascara che oramai parzialmente contornava i suoi occhi, era sbavato.
Il suono della sveglia non servì a nulla, né tantomeno la voce di sua madre che la incoraggiò “vedrai che non sentirai nulla, dieci minuti d’anestesia, poi forse qualche rimpianto, però dopo la tua vita tornerà come prima, soltanto così potrai portare a termine i tuoi progetti.”
Mancava poco alla laurea e la sfilata per lo stilista di Milano era oramai in procinto, sarebbe stato stupido rinunciare a tutto, per una gravidanza improvvisa, inaspettata ed indesiderata .
Ines, la ragazza sulla quale una madre ripone tutte le aspettative e i sogni non realizzati,
la ragazza da esibire, nei discorsi da salotto buono, la ragazza della Palermo bene.
L’appuntamento era per le sette e non necessitava alcuna prenotazione, nessuna accettazione, né tanto meno nessuna fila da rispettare.
Francesco era un vecchio amico di famiglia, le aspettava in ambulatorio ginecologico e quel giorno, vi si era recato prima di proposito, per dar loro priorità, poi… qualche frase consolatoria sarebbe bastata per far mettere in pace il cuore ad Ines . Era tutto concordato nei minimi dettagli , non si poteva rischiare un ripensamento , mamma aveva pensato a tutto.
Mise una comoda tuta, legò i lacci delle scarpe da tennis portandoli dentro alle stesse e raccolse i capelli con un elastico, al quale era attaccato un orsacchiotto di legno, color glicine.
Uscirono di casa frettolosamente e alla domanda di papà “dove state andando così di buon ora? mamma rispose “oggi io ela tua bimba, prima shopping e poi centro benessere, ci coccoleremo un po ”
Papà con le labbra si avvicinò alla fronte di Ines la baciò, mettendole le mani dietro la nuca, la strinse a sé e le disse “ciao picciridda del mio cuore, luce dei miei occhi , riguardati sempre “.
Il nosocomio distava un paio di chilometri, ma a quell’ora si arrivava in dieci minuti, le strade ancora erano libere da auto e schiamazzi.
Il tempo di salire in macchina, qualche frase senza contenuti , vuota e spoglia, la musica alla radio a riempire i vuoti, ed Ines con gli occhi persi ed umidi, come l’asfalto bagnato, che le separava dall’ospedale.
Lo squillo singolo del suo cellulare rompeva il ritmo del brano alla radio, le sue dita che scorrevano sullo schermo, fecero presagire a sua madre, che stesse messaggiando con Paolo e con voce infastidita ” mi raccomando a ciò che scrivi, la vita è tua, sei l’unica che può decidere”.
Paolo era un padre inconsapevole, che forse o mai avrebbe saputo, d’altronde troppo giovane e uomo, ed il corpo contenitore era di Ines, non contava null’altro, così le aveva ripetuto fino allo sdegno Mamma.
Trovarono subito parcheggio, aprirono l’ombrello , ancora piovigginava, entrarono dal portone principale che dava su un grande androne e chiesero informazioni al portiere.
Totò Maniscalco faceva quel lavoro da più di vent’ anni e tutte le volte che gli veniva chiesto “dov’e’ il reparto di ginecologia ?” dal contesto, dagli occhi, dai movimenti, riusciva a percepire il motivo per il quale, si recavano in quel reparto, d’altronde gli occhi di Ines gridavano, ma allo stesso tempo erano oramai rassegnati.
Gli amici lo chiamavano, Totò u Caronte , colui che traghetta, verso un limbo di rimpianti e forse pentimenti e come tale, in qualche modo e in certe circostanze e per ciò che era in grado di fare, avrebbe potuto essere il discernimento ultimo.
Alla domanda “mi aspetta il Professor Giuseppe Zambuto, mi potrebbe indicare da dove andarci?” Totò quel giorno decise, che l’ ascensore che portava direttamente in reparto, fosse fuori uso, ed indicò segnando con le mani e gesticolando, un percorso alternativo, che avrebbe portato i due ad attraversare corridoi, scale, vetrate scarabocchiate e diversi reparti.
Passarono da nefrologia, lambirono il reparto di oculistica e si immersero nel reparto di ostetricia, attraversando le vetrate dalle quali si intravedono i nascituri, tutti in bella vista con i pugni stretti, come a voler afferrare il futuro a loro predestinato .
Ines vi si soffermò, accarezzò il vetro, che la separavano dei nascituri e i suoi occhi divennero ancora più lucidi, mamma capì e la tirò via prendendola per il braccio.
Il rumore dei tacchi di mamma, sul bianco marmo dei pavimenti, tornò a rimbombare tra i corridoi. Ines passo, dopo passo, lesse ogni scritta sui muri che via via ci si allontanava dal reparto di ostetricia sfumavano di felicità.
Le frasi ben venuta Alice, Marta, Valeria tornarono ad esser prima bianco ducotone e poi si trasformarono in frasi, da stringere il più aspro dei cuori.
“Gesù brucia le sue cellule cattive affinché diventino polvere e poi soffiala via”
“Giorgio sei arrivato fino a qui, adesso non puoi mollarci ” “non vediamo l’ ora di spupazzarti nel letto con noi, amore torna presto a casa” .
E quella sedia posta di fronte quell’ immagine in bronzo, quasi occludeva il passaggio.
Il volto di quella figura femminile li seduta, era nascosto dalle sue stesse mani, dai suoi lunghi capelli e la sua voce arrivava singhiozzante, cupa ma chiara “signiruzzo pigghiati a mia, ma lassa vivere a picciridda del mio cuore, la luce dei miei occhi”.
Ines si fermo’, non poteva esser tutto casuale , era lo stesso modo come la chiama papà “picciridda del mio cuore , luce dei miei occhi” e in quel contesto qualcosa forse significava. Accarezzò amorevolmente i capelli di quella sconosciuta e fu certa, che da quel momento e a qualsiasi titolo, quella ragazza sconosciuta non sarebbe stata più tale.
Si compose, tiro’ un lungo sospiro, le si inginocchiò davanti, le spostò le mani dal viso e con le lacrime che le bagnavano il viso fino alla bocca e che sapevano di mare le parlò
“Come ti chiami? ”
“Mi chiamo Marta ”
“E la tua piccola come si chiama? ”
“La mia picciridda è Arianna, ed è bellissima, proprio comu a tia”
Ines fece un sorriso portò la mano di Marta sul suo grembo e le sussurrò
“Ti presento Arianna, la futura amichetta di tua figlia Arianna”
Vincenzo La Lia otto marzo 2017